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La Cintura di Orione  (Jacopo, Cecilia ed Elena), dopo la bella avventura
con Arcotoscanatv, prosegue il suo cammino di scoperte su: icantidelritorno.wordpress.com.
Dopo “arco e non solo” tanti argomenti ancora più vasti ed entusiasmanti che
ci piacerà continuare a condividire con i nostri amici fedeli.

Jacopo, Cecilia e Elena

“I Guelfi”, società fiorentina di Football Americano, sta crescendo velocemente nelle attese e nella stima del pubblico e può contare ormai un numero considerevole di sostenitori. Anche 5.000 persone presenti ad una partita di Campionato! Christian Petrucci ci apre il cancello del campo in Via dell’Isolotto e una finestra sul mondo di questo sport dove la squadra è fondamentale e l’organizzazione è essenziale per vincere. Uno sport giovane pensato per atleti giovani: 40 anni è il massimo consentito, ma il meglio si dà in una fascia che va dai venti ai trenta anni, in una attività estremamente spettacolare, veloce, impegnativa dal punto di vista atletico. 40 giocatori solo per la prima squadra, alcuni già in Nazionale, si incontrano con i colori de “I Guelfi” due volte la settimana, su questo terreno incolto, ai margini della  città, tra il fiume e il cemento, esclusivamente riservato per i loro allenamenti. Il dirigente Filippo Martelli e Filippo Paciaroni allenatore della difesa, ci guidano nelle regole e nella filosofia del Football, poco avvezzo all’individualismo che governa il calcio nostrano, che illumina e incorona come star soprattutto singoli campioni. Attrezzature speciali provenienti dall’America costituiscono il corredo indispensabile ma la vittoria viene sempre e comunque dal gruppo, dalla coordinazione tra attacco e difesa, dal gioco “di squadra” in cui il singolo non può né emergere né vincere da solo. “A volte sono piccole squadre senza campioni ma con un gioco di squadra splendido quelle che vincono i Campionati” conferma Filippo Paciaroni “ed è importante coordinare la difesa e l’attacco secondo la situazione della partita”. Una filosofia di gioco a cui non siamo abituati, che può insegnare a vivere oltre che a vincere una partita. “E’ un gioco che parte da fermo e poi si fa veloce, strategico, organizzato” dice ancora Filippo, “quindi dinamico e coreografico, molto visivo, fatto apposta per i moderni mezzi di comunicazione”. Una palla ovale impugnata a dovere attraversa il campo secondo una traiettoria sempre studiata, voluta, mirata nell’obiettivo e nella parabola più o meno tesa, con una punta molto acuta, studiata apposta per volare sicura, radente come una freccia scoccata da un invisibile arco.

Per informazioni: www.guelfifirenze.it

A.S.D. I GUELFI Firenze – American Football Team
Sede: Viale Redi, 65 c/o Studio Avv. Cecchi – 50144 FIRENZE – Toscana – Italia
E-Mail: info@guelfifirenze.it – Telefono: 339.7012020

Tra il Ponte Giovanni da Verrazzano e il Ponte S. Niccolò, sulla riva sinistra dell’Arno, si apre lo specchio di fiume dedicato ai Canottieri Comunali di Firenze.
La società, attiva dal 1934, è una delle più antiche della città, vincitrice di un numero incredibile di medaglie, premi e riconoscimenti, con  un’attività che è essenzialmente di squadra e che riesce ad unire e appassionare soprattutto molti giovani. Per Firenze un vero orgoglio.
Sul terreno comunale del greto si trova la Sede, con tutti i suoi materiali: canoe sistemate sui sostegni, in secca, ben protette con i loro profili arcuati, remi e tutte le attrezzature necessarie per le riparazioni continue. Proprio sotto il Ponte da Verrazzano è sistemata l’officina per il restauro: un grande spazio al riparo, tutelandolo così da altre invasioni indesiderate.
Le agili canoe che scivolano sul fiume silenziose possono interpretare stili diversi, secondo la qualità dell’acqua: canoa fluviale, olimpica, kajak, dragon boat e la spettacolare canoa-polo, che si pratica a squadre, su tratti di acqua calma, in cui occorre, oltre che pagaiare anche palleggiare e fare goal su reti a cesto quadrato poste a due metri di altezza dal pelo dell’acqua. Le partite, velocissime,  comprendono due tempi di dieci minuti  durante i quali si possono fare anche più di 20 goal con una spettacolarità assicurata.
Gli allenamenti vengono fatti ai Canottieri Comunali, quasi ogni sera dopo le 18. Anche solo per curiosare un po’ merita scendere le scalette che dalla via trafficatissima conducono sulla spiaggetta tra gli alberi, dove miracolosamente  il rumore della città si spenge e dove si dimentica di essere a Firenze. Lì ti prende il fascino dell’acqua, del verde, del rumore ritmico dei remi, del vento leggero e gli occhi si posano sulla riva di fronte verdissima. Il Ponte resta sopra di noi, con il suo carico cittadino, e verso ovest, verso il sole che tramonta, il profilo in controluce del ponte S. Niccolò, tra le torri e i tetti rosati, ci attira in una dimensione senza tempo, in cui, anche solo da osservatori ci piace… naufragare…
Per informazioni Alessandro Piccardi: a.piccardi@canottiericomunalifirenze.it

Gli strumenti “ad arco” sono quelli nei quali la vibrazione è sollecitata da un archetto su cui viene teso un fascio di crini di cavallo.
Luca Provenzani, concertista, maestro di strumenti ad arco e in particolare innamorato da sempre del violoncello, è di nuovo in questi giorni alla guida del “Premio Crescendo”, concorso musicale internazionale per giovani da 6 a 30 anni, che si tiene anche quest’anno, in collaborazione con il Comune di Firenze, all’interno del Teatro 13, il piccolo gioiello liberty nell’ex-Istituto dei Ciechi di Via Nicolodi.
Un’occasione per incoraggiare e valorizzare nuovi talenti, non solo italiani. Uno solo tra tanti, il violinista Andrea Barla, protagonista di alcune tra queste nostre immagini, nato a S.Remo e che vive e studia in Germania. Silenzio, commozione, rispetto accompagnano le esibizioni dei ragazzi che, con estrema professionalità e disciplina, uno dopo l’altro si succedono sul palco, facendo vivere i propri strumenti di fronte alla commissione e al pubblico, riuscendo a far vibrare le corde più segrete di qualsiasi spettatore, anche non esperto.
Musica: meravigliosa terapia dell’anima. Creata da strumenti e da mani sapienti. Mani che suonano e mani che lavorano legno e corde in modo magistrale, esclusivamente per creare note, melodie, arte.

La serata finale del “Premio Crescendo”, si svolgerà il 15 giugno al Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, a Firenze.

Quest’anno, per la prima volta, i Giochi Studenteschi prevedono anche la tanto attesa Fase Nazionale. A Chianciano, 170  giovani arcieri provenienti da tutta Italia si contendono il podio in uno scontro leale e avvincente, nello Stadio messo a disposizione dal Comune dove la Società organizzatrice, gli Arcieri del Parce, hanno allestito il campo di tiro con affettuosa professionalità e disponibilità totale. Insegnanti e ragazzi hanno lavorato tutto l’anno in collaborazione con istruttori Fitarco per immergersi nel nostro sport, che, non essendo troppo conosciuto, è stato spesso accettato con curiosità, ma anche con la voglia di sperimentarne il fascino naturale e istintivo. Ampiamente rappresentata la FITArco con i suoi Consiglieri Nazionali, tra cui Leonardo Terrosi responsabile dei rapporti Fitarco-Miur, molti dirigenti e tecnici. Nonostante gli impegni, anche il Presidente Mario Scarzella, è stato presente per tutti i due giorni dedicati all’iniziativa. Molto soddisfatti i rappresentanti del MIUR, che, con i Giochi Studenteschi, apre le scuole italiane al CONI e alle Federazioni Sportive nella convinzione che la pratica sportiva sia un importante mezzo di educazione anche sociale. Quasi tutte le regioni italiane, anche le più lontane, erano rappresentate. Firenze è salita al primo posto sul podio con l’Istituto Agrario delle Cascine, che ha potuto avvalersi per gli allenamenti, della collaborazione della vicina società Arcieri della Signoria e dei loro tecnici, testimoniando una sinergia vittoriosa a tutti gli effetti.

(Per questo post e per il video collegato: Tutti i diritti riservati – All rights reserved)

… si può vincere o perdere, entrare nella storia dei record o nella depressione dell’aver perso.

Un piccolo secondo, o anche meno, decretano un’olimpiade, un campionato, una vittoria o una sconfitta, scavando un solco incolmabile tra un atleta arrivato primo e uno arrivato secondo e ancora di più tra un ammesso e un escluso, tra un campione e uno sconfitto. Senza il tempo, che è impossibile calcolare esattamente anche con i più sofisticati strumenti, non esiste vittoria in moltissimi degli sport più conosciuti: nuoto, motociclismo, sci, corse di ogni tipo, automobilismo, pugilato, calcio, ciclismo, rally… Eppure non si dà mai abbastanza risalto ai cronometristi, che sono esperti, volontari, appassionati senza i quali la maggior parte delle gare che ci entusiasmano non sarebbero possibili. La Federazione FICr, in attività da 90 anni, dal 1921, conta in Toscana circa 60 coraggiosi aderenti per circa 500 gare annuali, che passano domeniche intere in gara, oltre ad altri due giorni almeno, in sede, a Firenze in Via dell’Argin Grosso, dove sono custodite attrezzature importanti che via via vengono trasportate, montate, utilizzate e riportate sempre a carico dei cronometristi stessi che di tutto si devono occupare.

La loro motivazione è l’amore per lo sport, di cui necessariamente devono conoscere varie discipline, ma anche la passione per gli strumenti di precisione e per la gestione del tempo, questo grande padrone della nostra vita.

“Di noi si parla solo quando si sbaglia” dice il Presidente Gabriele Bani ricordando lo storico episodio di Carl Lewis a Firenze nel 1983, quando fu registrato dal cronometro in pista il tempo di 9,92, poi smentito dalla pellicola che impiegava 30 secondi in più a registrare i risultati. Molti sono i momenti di fatica, di dedizione paziente, come in certe gare all’aperto, sotto la pioggia o sotto la neve, quando il cronometrista deve rimanere immobile per tutto il tempo, dall’inizio fino a quando l’ultimo atleta passerà davanti a lui. Oppure al chiuso, in certe piscine, quando il cronometrista finisce per inzupparsi, uno schizzo dopo l’altro, per tutto il tempo delle nuotate, tra tuffi di inizio e virate, visto che non può allontanarsi dal luogo di gara… e tanto meno asciugarsi.

Tra i cronometristi più attivi, oltre a Gabriele Bani, Mario Salvadori, esperto di pugilato, atletica e trotto, Lando Poggi, esperto nell’autodromo, Roberto Innocenti e Saverio Ventrella, dedicati al nuoto.

Nel tiro con l’arco il tempo delle volée è  registrato e indicato dai colori del semaforo sul campo e spesso costituisce un elemento in più di stress che condiziona le nostre performances. Krono, il crudele dio dei Greci, padre di Zeus, unico dei suoi figli che riuscì a detronizzarlo, era una terrificante divinità, figlio a sua volta di Urano e di Gea, cioè dell’Universo intero e della Madre Terra, e continua a farci paura nella sua inesorabile vastità e potenza.

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Rino Nencini, 90 splendidi anni in un corpo asciutto, in perfetta forma, una vita intera dedicata al gioco delle bocce, con oltre 500 premi vinti in 60 anni di carriera. “Meglio della palestra!” sostiene, “perché così si tiene in esercizio il corpo e anche la mente, si passa bene il tempo con gli amici e anche con gli altri. E poi giocare porta l’esaltazione, l’adrenalina, sia che si vinca sia che si perda!”

Rino infatti ricorda con uguale commozione sia le strepitose vittorie che le sconfitte, che a distanza di anni ancora bruciano, come quelle subite nei due Campionati Italiani del 1975 e del 1977, un titolo sfiorato e perso per un pelo. La prima volta per il flash di una macchina fotografica che lo ha distratto, il secondo per un colpo di sfortuna che è sempre in agguato in questo gioco.

Con gli occhi che all’improvviso brillano, come se tutto accadesse di nuovo, ricorda la vittoria del 1960 ottenuta a sorpresa con un colpo “nuovo”, allora sconosciuto, “una bocciata a volo soprammano”, quando tutti usavano  ancora solo il tiro “sottomano”.

Quando si riesce a bocciare e a restare il tiro è perfetto. E’ una questione di fisica: le bocce sono corpi di uguale peso, se si tira in modo perfetto su quella già tirata dall’avversario la si sostituisce  con la propria e l’altra vola via”.

Rino lavorava in Provincia, al controllo delle acque. Alle due “faceva festa” e, dice “non mangiavo nemmeno, mi prendevo un panino e correvo a giocare a bocce. Tutti i giorni era giocare giocare e la domenica gare!”

Riconosce di avere avuto una moglie comprensiva. Oggi non sarebbe stato possibile. “Sarà perché le donne non sono più pazienti che i giocatori di bocce sono andati a diminuire! Oggi se si brucia una frittata si va dall’avvocato e ci si separa!”

Per sessant’anni dice di essere stato anche egoista, di avere sacrificato la famiglia per una passione che è stata costante e intransigente. “Ma, dice, a volte portavo mia moglie con me. Si partiva il giorno prima della gara, come quando siamo stati a Roma: cinque ore di viaggio in macchina perché mica c’era l’autostrada negli anni ’50! Si dormiva fuori e il giorno dopo si gareggiava. Oppure le portavo dei regali. Le medaglie d’oro non sono mai mancate: è  perché il gioco era un successo che mi si è fissato addosso in questo modo!. Per raggiungere le bocciofile si facevano anche dei gran viaggi in treno e poi in autobus, portandosi dietro la reticella delle bocce!”

Rino ha avuto due figli, ma nessuno dei due lo ha seguito. Il maschio “aveva il calcio per la testa”, e lo ha praticato come giocatore e come allenatore.

La più bella giornata della mi’ vita è stata nel ’98:  ero andato in macchina, da solo, come sempre, a Sassuolo, a una gara con 520 giocatori. Ho vinto 4 partite, ho giocato tutto il giorno e sono tornato a casa alle 2 e mezzo di notte, con una coppa, che per me rappresenta la vittoria più grande. Anche perché avevo già 78 anni e a volte vincere è saper giocare e anche saper superare certi nostri limiti.”

Tutt’ora Rino è un campione. Va in bicicletta a allenarsi tutti i giorni per due ore per essere pronto la domenica a gareggiare. Parte ancora in macchina da solo, perché vuole sentirsi libero e spesso è in coppia con colleghi più giovani dei suoi figli.

Quando ha iniziato, nei primi anni ’50, le bocce erano di legno e si tenevano dentro bidoni con l’acqua per non farle spezzare. Ora i materiali e la tecnica sono venuti incontro ai giocatori. Non più campi di terra battuta, ma in sintetico, non più palle di legno ma in resina di qualità. Sui campi in terra il tiro poteva subire ogni tipo di alterazione, fare tiri perfetti era difficilissimo.

Eppure Rino non ha avuto sempre la vita facile. 65 mesi di guerra, anche se non al fronte: figlio unico di madre vedova. “I miei colleghi sono tutti in fondo al mare!” perché tutti furono arruolati in marina. Rino però fu mandato in Corsica e in Sardegna, lontano dal fronte diretto. Dopo l’8 settembre rimase tagliato fuori dal resto del mondo e non seppe più niente di sua madre fino a che da Napoli riuscì a partire per accompagnare un generale destinato a Roma. Lui, alla guida del mezzo aggiunse di suo pugno anche la destinazione “Florence” accanto al regolare “Rome” scritto dagli americani sul foglio di viaggio. Così, lasciato il generale a Roma proseguì per Firenze. Quasi a destinazione fu fermato dalla Police americana e qui Rino ebbe un attimo di paura “Vuoi vedere che mi arrestano proprio ora che sono arrivato!” .

Ma i soldati, appena videro che aveva fatto tutto il viaggio in giornata da Napoli si complimentarono con lui e lo fecero passare con un bonario e rassicurante “OK, Johnny, vai!”

Appena in Firenze, nella sua Via Erbosa, vide una donna che prendeva l’acqua. E quella donna era proprio sua madre, che dopo l’incontro e un lungo abbraccio gli disse “non ho niente da darti da mangiare abbiamo solo due mele!”

Più avanti nel tempo, a 62 anni, Rino si scontrò con la malattia: una pesante operazione ai polmoni. Ma giocare a bocce e vincere nelle gare lo distrasse dai pensieri e dalla paura Giocando tu ti dimentichi delle tue cose peggiori. Giochi per vincere e le tue cose non le ricordi mai. Questo è stato un vantaggio non indifferente!”

Smettere di fumare è stata un’altra sua grande vittoria: “me lo ricordo bene quel giorno, più della Prima Comunione, più del Matrimonio: era il 4 luglio del 1981! Da giovani si fumava di tutto: le vitalbe, perfino la carta dei giornali!”

E di vincere non ha mai smesso.

Ricordano di lui una mitica impresa: perdeva 14 a 0 fino a che la sorte è cambiata con la rimonta vittoriosa e il risultato di 15 a 14. Questo accade spesso nel gioco delle bocce e ci sono scontri finali tra anziani e giovani che si battono perfettamente alla pari. Spesso l’esperienza vince sull’età. Le categorie in questo gioco tengono conto dei punteggi fatti e non dell’anagrafe. Rino ha giocato 55 anni nelle serie A, la categoria dei campioni.

Questo è uno sport povero, che si può fare a tutte le età e a livelli diversi, ma è anche uno sport giovane perché sono i giovani che vincono di più!”.

Eppure di una cosa è certo Rino, che non smetterà mai di giocare a bocce,  perché “la vita va vissuta fino in fondo”, dice, e l’età è quella che vogliamo avere: è quella che ci portiamo nel cuore.

Antica filastrocca inglese, che risale probabilmente al 1500, fa riferimento a simboli e significati legati al ciclo della natura e al succedersi delle stagioni. Esistono varie versioni e interpretazioni, come quella che la morte del Pettirosso sia apparente e che la causa sia l’inverno che porta via le foglie… In realtà preferiamo lasciare la filastrocca nella sua atmosfera surreale, misteriosa e fantastica e lasciarcela raccontare da Simone Rovida.

Il Commesso Fiorentino di pietre dure è un antichissimo mestiere che nasce alla fine del ‘500, per l’esigenza di trasformare l’arte del mosaico a tessere, esistente al tempo dei Medici, in qualcosa di ancora più evoluto e raffinato, che fosse più simile possibile ad una forma di “pittura”.

A Firenze, nella centralissima Via Ricasoli, il laboratorio di Renzo Scarpelli e di tutta la sua famiglia accoglie con entusiasmo e gentilezza chiunque si fermi incantato a guardare e domandare, che siano acquirenti o semplici curiosi, fiorentini o stranieri, attratti da immagini esposte di straordinaria bellezza, soprattutto ritratti, figure, nature morte, oggetti meravigliosi per forme e colori, per originalità e fattura.

Renzo Scarpelli, uno dei pochissimi “commessi” attuali, è maestro di un’arte poliedrica, che richiede attitudine per la pittura e il disegno,  profonda conoscenza dei materiali, capacità di saperli trattare e lavorare trasformandoli, oltre che saper vedere l’opera finita e ultimata fino  dalla fase iniziale, in cui i colori non sono ancora realmente percepibili, perché le pietre si trasformano durante la lavorazione. Solo l’ultima definitiva lucidatura a piombo metterà allo scoperto, finalmente, i veri colori di tutte le innumerevoli tessere geometriche che creano l’immagine finale, valorizzando le “macchiature”, che sono le caratteristiche cromatiche naturali di ogni pietra. Errori non sono ammessi. Questa arte non consente correzioni e sbagliare il colore di una tessera comprometterebbe la perfezione finale delle sfumature. Più rigorosa e più esigente della pittura, e di qualsiasi altra forma di arte figurativa, l’arte di Scarpelli diventa parte integrante della sua persona, diventa un modo di guardare, di scegliere, di comporre e unire, partendo dalla natura e dai tesori delle pietre che si nascondono nella terra dei nostri boschi. Renzo Scarpelli va a cercarle nei luoghi che conosce, le seleziona, le tratta, le divide prima in grandi fette e poi le taglia con l’arco, uno strumento da taglio che viene ancora costruito artigianalmente, proprio come un arco da tiro. Il ramo adatto viene scelto nel bosco e può essere di ciliegio, di nocciolo o di castagno: deve essere un pezzo unico, liscio, senza ramificazioni perché non si creino rotture. Si piega a fuoco da fresco e si mette in tensione a stagionare. La dimensione dipende dagli usi specifici e vi si applica, alle due estremità, del filo di ferro morbido adatto per segare la pietra. Ci si aiuta, nel taglio, con un abrasivo, il carburo di silicio, una pasta grigia con cui si copre via via il ferro, mentre si fa scorrere su e giù nella fetta di pietra.

In realtà esistono tecniche di taglio più moderne, ma sono utili per grandi produzioni in serie. Scarpelli crea pezzi unici artigianali per i quali la tecnologia evoluta non fornisce aiuto concreto. Per una produzione basata sull’oggetto di valore artistico le tecniche “storiche” risultano ancora le più efficaci e anche, in ultima analisi, le meno costose. Renzo Scarpelli produce ancora tutto da solo, partendo dalla ricerca delle pietre e dalla costruzione di certe attrezzature. Dice anche, però, che “si deve inseguire il tempo” e che una evoluzione nel lavoro e nel prodotto è di importanza essenziale. La sua grande fortuna, lui dice, è avere la famiglia affiatata che, compatta, lo sostiene nel lavoro, lo affianca e lo sostiene, anche moralmente.

Con la moglie Gabriella, insieme a lui da 42 anni, ha condiviso lavoro e vita e anche l’amore per le pietre dure che lei trasforma in gioielli a fianco del marito e nello stesso laboratorio. Il figlio Leonardo è diventato maestro d’arte e ha seguito in tutto le orme del padre mentre la figlia Catia si occupa di comunicazione e della gestione dell’azienda. Perché i mezzi, per poter stare sul mercato ed essere competitivi, devono essere sempre allineati ai tempi. Così è Catia che si occupa di informatizzare la comunicazione dell’azienda, di fare da interprete con i numerosi clienti sparsi nel mondo intero, e mentre Leonardo ci illumina dell’amore che ha per questo affascinante lavoro che condivide con un grandissimo padre è Catia che ci racconta dell’intera famiglia, della storia, dei successi, dei percorsi fatti. Con l’amore luminoso e sereno, contagioso  e intenso, che le viene dalla consapevolezza del grande privilegio che sente di appartenere alla famiglia Scarpelli.

Per info: info@scarpellimosaici.it

http://www.scarpellimosaici.it/

“Poi, quando l’Agnello aprì uno dei sette sigilli, vidi e udii una delle quattro creature viventi, che diceva con voce come di tuono: Vieni!. Guardai e vidi un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; e gli fu data una corona, ed egli venne fuori da vincitore, e per vincere.” Apocalisse 6,1-2

L’arazzo dell’Apocalisse è un ciclo di arazzi realizzato alla fine del XIV secolo che si ispira all’apocalisse di San Giovanni (Libro della Rivelazione), esposto ad Angers in Francia. E’ uno dei più importanti cicli di arazzi del medioevo. Fu commissionato, tra il 1373 e il 1377 per il duca Luigi I d’Angiò, al mercante Nicolas Bataille che lo fece tessere nel suo laboratorio di Parigi all’arazziere Robert Poisson. Il ciclo di cartoni fu preparato dal pittore Hennequin de Bruges (conosciuto come Jean de Bruges), pittore di corte del re Carlo V di Francia. Fu donato da Renato d’Angiò alla cattedrale di Saint-Maurice d’Angers nel XV secolo. Durante la Rivoluzione Francese l’arazzo fu fatto a pezzi per realizzare coperte e stuoini. Alla fine del XVIII secolo gli arazzi subirono gravi danni e furono restaurati tra il 1843 e il 1870 grazie all’intervento del canonico Joubert. Oggi sono esposti nel castello di Angers in una sala le cui dimensioni permettono di ammirare l’opera nella sua interezza. Il materiale utilizzato, sia per la trama che per l’ordito, è la lana, tinta con colori vegetali. Tra i colori, ancor oggi brillanti, spiccano i gialli ottenuti con la reseda (reseda luteola), gli sfondi rossi, ottenuti con la robbia (rubia tinctorum) e quelli blu ottenuti con il guado (isathis tinctoria). Composto inizialmente di sette pezzi, ne sono giunti a noi solamente sei. Misura complessivamente 103 m di lunghezza per 4,5 m di altezza. All’inizio di ogni pannello un personaggio a tutta altezza, seduto in un baldacchino, introduce alla lettura allegorica delle visioni di San Giovanni, la narrazione è divisa in due fasce sovrapposte, suddivise in sette riquadri ognuna, che hanno il fondo alternativamente blu o rosso. Oltre che una rappresentazione dell’apocalisse gli arazzi contengono una preziosa quantità di informazioni sulla vita e i costumi del XIV secolo.” Tutte queste informazioni sono tratte dalla voce Arazzo dell’Apocalisse di Wikipedia. Possiamo solo aggiungere che il meraviglioso cavaliere con l’arco ci è stato segnalato da un caro amico di ArcotoscanaTv: grazie Riccardo!